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"Fuocoammare" di Francesco Rosi

La recensione al film-documentario dedicato a Lampedusa e i migranti
Una tranquillità quasi spettrale accoglie lo spettatore in sala. Le immagini della quotidianità di una piccola isola siciliana, Lampedusa, più vicina alle coste africane che a quelle italiane, la sua vita semplice che segue il flusso della natura, del mare soprattutto, e gli abitanti – in realtà il regista Francesco Rosi ce ne fa conoscere ben pochi – anch'essi al passo di questo ritmo rallentato. Questo lo scenario di Fuocoammare (2016).

Dall'altra parte, però, la quotidianità lampedusana è fatta anche di navi all'orizzonte colme di migranti, in mare da giorni, disidratati, affamati, stremati, e dell'impegno giornaliero di forze dell'ordine, medici e volontari che accolgono donne, uomini, bambini sull'isola. Un personaggio in particolare, Pietro Bartolo, direttore sanitario della Asl locale che da trent'anni assiste i migranti sbarcati sull'isola, è preso da Rosi come simbolo e mostrato in tutta la sua umanità di uomo che si sente in dovere di aiutare i migranti in difficoltà e soprattutto che non "si abitua" alle tragedie che talora è costretto a vedere coi suoi occhi.

Fuocoammare segue l'intreccio di due storie parallele – la quiete e la tempesta. Da una parte il piccolo Samuele che si costruisce una fionda e va a caccia di bersagli, dall'altra le varie fasi di arrivo dei migranti, dallo sbarco ai controlli alle visite alle cure fino alla sistemazione nei centri d'accoglienza nei cortili dei quali si organizzano partitelle di calcio per passare il tempo e si fa la fila alla cabina telefonica per tranquillizzare i famigliari sulla propria salute.

Rosi ci mostra anche un momento molto intimo in cui i migranti intonano insieme una canzone che descrive le loro peripezie: "il mare non è una strada" dicono, ma "nella vita è rischioso non rischiare, perché la vita stessa è un rischio".

Il film-documentario si è aggiudicato l'Orso d'oro al Festival del Cinema di Berlino 2016.