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26 agosto 2021

Ndiaga, Arjola e gli altri, nuovi italiani alle Paralimpiadi


A Tokyo in gara anche atlete e atleti azzurri con background migratorio. Ecco chi sono

In questi giorni a Tokyo anche una nutrita pattuglia di italiani con background migratorio va a caccia di medaglie ai XVI Giochi Paralimpici estivi. Hanno radici sparse per il mondo, ma vestono con orgoglio la maglia azzurra nelle più svariate discipline, come racconta la media guide della nazionale paralimpica italiana. 

Sono atlete e atleti come la velocista Oxana Corso, nata nel 1995 a San Pietroburgo, ma arrivata bambina in Italia con un’adozione internazionale. Ha iniziato a correre a 10 anni con il suo insegnante di educazione fisica: “Da lì in poi non ho più smesso”. Per lei, che ha nel palmarès record mondiali e due argenti conquistati a Londra 2021, “lo sport rappresenta l’opportunità di dire al mondo che nulla è impossibile”.

Corre anche Ndiaga Deng, classe 1999, origini senegalesi, specialista nei 400 m e nei 1500 m, che si dice ispirato dal mitico Usain Bolt. “Lo sport ha cambiato gli ultimi anni della mia vita”, dice. Oltre alle piste ha calcato i campi di calcio, ma spiega che “l’atletica mi è piaciuta subito, per questo continuo a praticarla”. Dopo Tokyo vorrebbe volare a Dakar: “È tanto tempo che non vado a trovare i miei nonni e i miei amici”.

A 45 anni, il discobolo italocubano Oney Tapia lancia ancora lontanissimo. Sua madre era una giavellottista (“mi ha trasmesso tanta forza di volontà”) e lui come portafortuna ha le foto delle tre figlie. “Lo sport mi ha dato tanta energia, mi ha aiutato a recuperare gran parte della mia personalità”, racconta, e rivela che della sua specialità ama “il momento in cui il disco parte: mi dà un senso di libertà”.

Esteban Gabriel Farias, nato nel 1984 in Argentina ma cresciuto in Sicilia, per la prima volta ai Giochi, è un canoista. La prima volta, ricorsa, “riuscii a fare malapena due e tre metri prima di rovesciarmi in acqua. Era il 2009, avevo 26 anni e pesavo 72 kg. Fino al2014 non ho fatto nulla, solo riabilitazione. Man mano che passava il tempo prendevo peso ed è lì che mi sono detto: devo fare qualcosa per migliorare la qualità della mia vita...”

Arriva dall’Albania la nuotatrice Arjola Trimi, 1987, che nello sport vede "libertà, capacità di esprimermi al 100% e di comprendere come reagisce il corpo ai miei movimenti”. Le sarebbe piaciuto anche fare la scrittrice, ma dopo la carriera agonistica sogna comunque un futuro in piscina e a: “Non so ancora se a bordo vasca o in altre vesti". Ama i Queen, in particolare Don’t stop me now: "È la canzone che ascolto prima delle gare”...

“Lo sport è vita, è disciplina, ti dà regole che poi ti servono anche in ogni aspetto della tua esistenza”, dice Ana Vitelaru, 1983, origini romene. Dopo il basket in carrozzina, si è innamorata della handbike, come il suo idolo sportivo, Alex Zanardi: “È un maestro che insegna semplicemente trasmettendoti la sua passione e il suo amore per lo sport”. Per Ana, “resilienza vuol dire resistere e non mollare mai”.

È italo romena anche Ionela Andrea Mogos, 1988, schermitrice, già bronzo nel fioretto a squadre a Rio 2016 (“l’emozione più bella mai vissuta”). Del suo sport ama in particolare il gioco d’astuzia: “Bisogna riuscire a portare il tuo avversario a fare quello che vuoi tu”. Sogna di viaggiare, vedere il mondo e anche “aprire un’attività tutta mia”. Ora, però, si concentra sui Giochi e sulle sfidanti in pedana. Le più temute? “Le cinesi, senza dubbio, ma non vedo l’ora di affrontarle”.

“Lo sport è stato la mia salvezza, qualcosa di estremamente positivo per la mia vita”, racconta Mohamed Amine Kalem, 1982, che ha scoperto il tennistavolo poco dopo il suo arrivo dalla Tunisia in Italia. È uno sport che ama "perché mi dà un’adrenalina continua”, e che richiede concentrazione continua “perché ogni match si può ribaltare in qualsiasi momento”. Ama Mohamed Alì: “Lui mollava mai”.