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27 luglio 2021

Lo straniero può accedere al gratuito patrocinio anche senza certificazione consolare


Secondo la Corte Costituzionale è sufficiente la dichiarazione sostitutiva se il cittadino extra Ue non può produrre la documentazione consolare sui redditi prodotti all’estero

Non è ragionevole, e contrasta con l’effettività del diritto di difesa, che il cittadino di un Paese non aderente all’Unione europea non abbia diritto al patrocinio a spese dello Stato soltanto perché si trova nell’impossibilità di produrre la certificazione dell’autorità consolare richiesta per i redditi prodotti all’estero.

È quanto ha affermato la Corte costituzionale con la sentenza n. 157 depositata il 20 luglio scorso  con cui è stato dichiarato illegittimo l’articolo 79, comma 2, del Dpr n. 115 del 2002, nella parte in cui non consente al cittadino di Stati non appartenenti all’Unione europea di dimostrare di aver fatto tutto il possibile, in base a correttezza e diligenza, per presentare la richiesta documentazione, e quindi di produrre una dichiarazione sostitutiva di tale documentazione.

L’intervento della Corte nasce da un procedimento nel quale due cittadini di nazionalità indiana si erano visti negare il beneficio del patrocinio a spese dello Stato non avendo prodotto la certificazione dell’autorità consolare competente che, ai sensi dell’art. 79, comma 2, t.u. spese di giustizia, avrebbe dovuto attestare la veridicità di quanto indicato relativamente ai redditi prodotti all’estero.
Invero, il testo unico in materia di spese di giustizia introduce, nell’art. 119, con riferimento al patrocinio a spese dello Stato nei processi civile, amministrativo, contabile e tributario, una equiparazione al trattamento previsto per il cittadino italiano di quello relativo allo «straniero regolarmente soggiornante sul territorio nazionale al momento del sorgere del rapporto o del fatto oggetto del processo da instaurare».
Sennonché, a fronte di tale equiparazione, l’art. 79, comma 2, t.u. spese di giustizia stabilisce che, per i soli cittadini di Paesi non aderenti all’Unione europea, «i redditi prodotti all’estero debbano essere certificati dalla autorità consolare competente, che attesti la veridicità di quanto in essa indicato», senza contemplare alcun rimedio all’eventuale condotta non collaborativa di tale autorità e, dunque, all’impossibilità di produrre la relativa certificazione.
Per converso, nella disciplina riservata al processo penale, l’art. 94, comma 2, t.u. spese di giustizia prevede che «in caso di impossibilità a produrre la documentazione richiesta ai sensi dell’art. 79, comma 2, il cittadino di Stati non appartenenti all’Unione europea, la sostituisce, a pena di inammissibilità, con una dichiarazione sostitutiva di certificazione».

La Corte evidenzia come, se è vero che la distinzione tra processo penale e altri processi (civile, amministrativo, contabile e tributario) possa giustificare il fatto che vengano ritenute non irragionevoli, se correlate alle diverse caratteristiche e implicazioni dei vari processi, talune differenziazioni nella disciplina del patrocinio a spese dello Stato, tuttavia tale differenziazione non può in alcun modo legittimare la mancata previsione di un correttivo che permetta di superare l’ostacolo creato dalla condotta omissiva, o in generale non collaborativa, dell’autorità consolare.
A fronte, dunque, dell’impossibilità di ottemperare all’onere di esibire la documentazione consolare – afferma la Corte - deve riespandersi, a favore del richiedente, l’opportunità di avvalersi della dichiarazione sostitutiva di certificazione.

La pronuncia uniforma, quindi sotto il profilo della certificazione dei redditi prodotti all’estero, la disciplina sul patrocinio a spese dello Stato nei processi civile, amministrativo, contabile e tributario a quanto già previsto per il processo penale, non essendoci, sul punto, alcuna ragione per differenziarli.

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