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16 marzo 2022

Bonus bebè e assegno di maternità, irragionevole negarli agli stranieri regolarmente soggiornanti


Depositate le motivazioni della sentenza dell'11 gennaio 2022


Le disposizioni che escludono da alcune provvidenze (bonus bebè e assegno di maternità) gli stranieri non titolari del permesso per soggiornanti Ue di lungo periodo sono incostituzionali perché “istituiscono per i soli cittadini di Paesi terzi un sistema irragionevolmente più gravoso, che travalica la pur legittima finalità di accordare i benefici dello stato sociale a coloro che vantino un soggiorno regolare e non episodico sul territorio della nazione”, finendo con il negare adeguata tutela proprio a coloro che si trovano in condizioni di più grave bisogno.
È questo un passaggio della sentenza della Corte costituzionale n. 54, depositata il 4 marzo scorso, con cui la Corte ha dichiarato l’incostituzionalità della disciplina del cosiddetto bonus bebè (articolo 1, comma 125, della legge n. 190/2014 e successive proroghe) e dell’assegno di maternità (articolo 74 del dlgs n. 151/2001), nel testo antecedente alle modifiche introdotte della legge n. 238 del 2021nella parte in cui escludevano dalla concessione delle due prestazioni i cittadini di Paesi terzi ammessi nello Stato a fini lavorativi a norma del diritto dell’Unione o nazionale e i cittadini di Paesi terzi ammessi a fini diversi dall’attività lavorativa a norma del diritto dell’Unione o nazionale, ai quali è consentito lavorare e che sono in possesso di un permesso di soggiorno ai sensi del regolamento (CE) n. 1030/2002 (ovvero un permesso di soggiorno di durata superiore ai sei mesi).
La Corte costituzionale ha ritenuto le disposizioni censurate in contrasto con gli articoli 3 e 31 e 117 primo comma della Costituzione, quest’ultimo in relazione con l’articolo 34 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea così come concretizzato dal diritto europeo secondario.
La decisione fa seguito alla pronuncia della Corte di giustizia dell’Unione europea del 2 settembre 2021 (C-350/20), che ha risposto ai quesiti posti il 30 luglio 2020 dalla Consulta, con l’ordinanza di rinvio pregiudiziale n. 182

La Corte, dopo aver ricostruite nelle sue coordinate nazionali ed europee, il quadro normativo in cui si collocano le questioni sollevate, rileva come le richieste devono essere valutate alla luce della disciplina vigente al tempo della loro presentazione. Non viene in rilievo, pertanto, la normativa sopravvenuta, che, secondo i principi generali (art. 11 delle preleggi), dispone soltanto per l’avvenire, in mancanza di univoche indicazioni di segno contrario.
La Corte costituzionale scrive che è suo compito “assicurare una tutela sistemica, e non frazionata, dei diritti presidiati dalla Costituzione, anche in sinergia con la Carta di Nizza, e di valutare il bilanciamento attuato dal legislatore, in una prospettiva di massima espansione delle garanzie”. La disciplina dichiarata incostituzionale lede, secondo i giudici, il diritto alla parità di trattamento nell’accesso alle prestazioni di sicurezza sociale, tutelato dall’articolo 34 della Carta in connessione con l’articolo 12 della direttiva 2011/98 UE, che ha riconosciuto un insieme di diritti ai cittadini di Paesi terzi ammessi nello Stato per finalità lavorative o per finalità diverse, ai quali è consentito lavorare.
Il principio di parità di trattamento, si raccorda, osserva la Corte “ai principi consacrati dagli articoli 3 e 31 della Costituzione e ne avvalora e illumina il contenuto assiologico, allo scopo di promuovere una più ampia ed efficace integrazione dei cittadini dei Paesi terzi”.
La tutela della maternità e dell’infanzia (articolo 31 della Costituzione), “non tollera distinzioni arbitrarie e irragionevoli”. La Corte riconosce che “spetta alla discrezionalità del legislatore il compito di individuare i beneficiari delle prestazioni sociali, tenendo conto del limite delle risorse disponibili, ma tale individuazione, nondimeno, è vincolata al rispetto del canone di ragionevolezza. È dunque consentita l’introduzione di requisiti selettivi, a patto che obbediscano a una causa normativa adeguata e siano sorretti da una giustificazione razionale e trasparente (sentenza n. 222 del 2013, punto 7 del Considerato in diritto). Si tratta di una giustificazione che deve essere indagata alla luce delle caratteristiche della singola provvidenza e delle finalità che ne condizionano il riconoscimento e ne delimitano la ratio (sentenza n. 172 del 2013, punto 3 del Considerato in diritto; di recente, in tema di edilizia residenziale pubblica, sentenza n. 112 del 2021, punto 6 del Considerato in diritto)”.
La Corte costituzionale ha escluso che vi sia una ragionevole correlazione tra il requisito del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo , subordinato al possesso di requisiti reddituali rigorosi, e il riconoscimento di prestazioni che attuano la tutela della maternità e dell’infanzia, sancita dall’articolo 31 della Costituzione, e fronteggiano lo stato di bisogno legato alla nascita di un bambino o alla sua accoglienza nella famiglia adottiva”.
“L’assegno di natalità e l’assegno di maternità sovvengono a una peculiare situazione di bisogno, che si riconnette alla nascita di un bambino o al suo ingresso in una famiglia adottiva. La prima prestazione - osserva la Corte -  originariamente concessa alle famiglie meno abbienti, è graduata e varia notevolmente in proporzione al reddito familiare anche nella modulazione universale introdotta dalla legge n. 160 del 2019 e confermata dalla legge n. 178 del 2020. Quanto all’assegno di maternità, esso rappresenta una tutela residuale, che opera nei soli casi in cui il nucleo familiare versi in condizioni economiche precarie e la madre non possa reclamare l’indennità di maternità in forza di uno specifico rapporto di lavoro. Entrambe le provvidenze si prefiggono di concorrere a rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana (art. 3, secondo comma, Cost.), e, in particolare, rappresentano attuazione dell’art. 31 Cost., che impegna la Repubblica ad agevolare con misure economiche ed altre provvidenze la formazione della famiglia e l’adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose, e a proteggere la maternità, l’infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo.
"Nel condizionare il riconoscimento dell’assegno di natalità e dell’assegno di maternità alla titolarità di un permesso di soggiorno in corso di validità da almeno cinque anni, al possesso di un reddito non inferiore all’importo annuo dell’assegno sociale e alla disponibilità di un alloggio idoneo -  concludono i giudici -  il legislatore ha fissato requisiti privi di ogni attinenza con lo stato di bisogno che le prestazioni in esame si prefiggono di fronteggiare. Nell’introdurre presupposti reddituali stringenti per il riconoscimento di misure di sostegno alle famiglie più bisognose, le disposizioni censurate istituiscono per i soli cittadini di Paesi terzi un sistema irragionevolmente più gravoso, che travalica la pur legittima finalità di accordare i benefici dello stato sociale a coloro che vantino un soggiorno regolare e non episodico sul territorio della nazione. Un siffatto criterio selettivo nega adeguata tutela a coloro che siano legittimamente presenti sul territorio nazionale e siano tuttavia sprovvisti dei requisiti di reddito prescritti per il rilascio del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo. Un sistema così congegnato pregiudica proprio i lavoratori che versano in condizioni di bisogno più pressante".

Sentenza Corte Costituzionale n. 54/2022